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11.3 Capitolo secondo

 

11.3. Capitolo secondo - Chapitre deuxième . Chapter 2

 

 

§ IDa Erodoto all'Etnologia come scienza.

 

Il termine Antropologia, così come l’intendiamo noi oggi, appare nel XVIII secolo negli scritti del naturalista tedesco J.F.Blumenbach (1752-1840), che nel 1795 introduce il termine, per qualificare la storia naturale dell’uomo, nella Lettera di dedica premessa alla 3a edizione del suo De Generis humani varietate nativa. Troviamo il termine anche nel titolo della contemporanea opera del filosofo tedesco E.Kant, Antropologia pragmatica (1798).

 

Però l'origine della materia è ben più antica e possiamo farla risalire alla Grecia classica.

 

Infatti, essendo l'antropologia un "discorso sull'uomo (inteso come umanità) e i suoi modi di vita", possiamo dire che essa è nata come risposta a esigenze storico/ambientali, in cui andavano maturando quei problemi del vivere sociale, di cui si voleva avere più dirette e precise conoscenze.

 

Nell'àmbito della cultura occidentale queste condizioni furono create dalla Grecia, nella sua fase di espansione coloniale (si pensi a tutte le colonie greche sorte nel mediterraneo nel giro di diversi secoli!),che ebbe il suo culmine dalla seconda metà del secolo VII alla prima metà del secolo VI, quando la spinta fu frenata dai Persiani ad Oriente e dagli Etruschi e dai Fenici ad Occidente.

 

Nella loro espansione coloniale i Greci ebbero modo di misurare la loro superiorità nei confronti dei popoli sottomessi, che consisteva nell'amore per la libertà, il sentimento della misura, il coraggio assennato, l'attitudine al raziocinio.

 

Gli altri popoli mediterranei, come ad esempio, gli Etruschi e i Fenici,non mancarono di doti simili, eppure nessuno di essi elaborò una dottrina sulla propria superiorità nei confronti degli altri.

 

Ciò prova che questa idea di superiorità non può essere il frutto di un semplice incontro con popoli diversi, ma è il prodotto storico di una certa cultura.

 

In epoca omerica questo atteggiamento nei confronti degli stranieri fu peculiare degli Achei, ma senza una connotazione di natura biologica.

 

Il termine ß??ßa??? (leggi bàrbaros), ad esempio, non lo troviamo in epoca omerica, dove, invece, si parla di barbarofòni, cioè "parlanti una lingua incomprensibile".

 

Del resto, in questa epoca, non vi è neppure un termine collettivo per indicare gli stessi Greci e i non Greci.

 

Per arrivare al primo etnologo (che è più corretto chiamare etnografo) dobbiamo attendere Erodoto di Alicarnasso (484?-425), che non è affatto dell'idea di una superiorità greca, dimostrando così di essere un vero uomo di scienza, non succubo ai luoghi comuni del suo tempo.

 

 

Come ebbe a dire Gaetano De Sanctis nella sua Storia dei Greci1 , Erodoto "ritiene persino che i barbari abbiano dato ai Greci le loro idee religiose, gli oracoli, i nomi e le persone dei loro déi, tanto che dagli stessi antichi egli è stato chiamato filobarbaro".

 

Erodoto, da etnografo veramente completo, raccolse, tra l'altro, anche testimonianze di ordine linguistico sui popoli conosciuti. Egli stesso ebbe probabilmente qualche nozione di una lingua, quella degli Sciti della Russia meridionale, e per tutte le altre si servì certamente di buoni interpreti.

 

Inoltre, Erodoto non manca di dare indicazioni sulla situazione linguistica dei diversi paesi. A proposito degli Indiani, per esempio, osserva che i loro gruppi sono molti e non parlano la stessa lingua: in ciò Erodoto dimostra di essere già antropologo, senza saperlo, perchè pone l'accento sulle differenze o sulle somiglianze come problema per la conoscenza di sè stessi e quindi dell'uomo in quanto universale.

 

Va anche rilevato che i frequenti contatti con gli altri popoli provocarono sui Greci un immenso incremento nella loro conoscenza degli uomini e delle cose, li addestravano a osservare e a criticare, li preparavano, nutrendo il loro spirito di osservazione e di critica, a fondare la scienza.

 

La storia della formazione dell'idea della superiorità ellenica è legata a quella della formazione in concreto del concetto di cultura presso il popolo greco.

 

A questo proposito è illuminante riportare quanto dichiarato dal grande studioso tedesco W.Jaeger nel suo Paideia, opera fondamentale in questo genere di studi: "E' nella forma della pa?de?a (leggi paidèia), della "cultura" (intesa come educazione), i Greci trasmisero infine in eredità agli altri popoli dell'antichità l'insieme della propria creazione spirituale. Fu l'idea greca della cultura cui Augusto riallacciò la missione dell'Impero romano. Senza l'idea greca della cultura non vi sarebbe un'antichità classica quale unità storica, nè un "mondo civile" occidentale.

 

Certo, nel logoro uso verbale odierno, noi siamo soliti applicare il concetto di cultura per lo più non in questo senso, di ideale appartenente alla sola umanità postgreca, ma lo applichiamo, con significato reso assai banale, generalizzandolo, a tutti i popoli della terra, compresi i primitivi; intendiamo cioè per cultura l'insieme delle manifestazioni e forme di vita caratteristiche di un popolo.

 

La parola cultura è quindi decaduta a concetto antropologico meramente descrittivo; non rappresenta più un altissimo concetto di valore, un ideale consapevole. In questo significato vago e sbiadito, di mera analogia, è allora lecito parlare di una cultura cinese, indiana, babilonese, ebraica, egiziana, sebbene in nessuna di tali lingue si trovi un vocabolo corrispondente e la consapevolezza del relativo concetto"2.

 

Sulla base di questa premessa assume un significato storicamente decisivo l'elogio della cultura e della società ateniesi che Tucidide (460?-400 o 395) mette in bocca a Pericle nell'orazione funebre ai caduti: "Riassumendo, chiamo la nostra città l'alta scuola della cultura greca", t?? e??ad?? pa?de?s?p (leggere tès Ellàdos paidèusin).

 

Con questa idea dell'egemonia spirituale di Atene, degna del grande storico, si presenta per la prima volta al suo sguardo dinamico il fatto e il problema dell'influenza storica della cultura attica. "Non vi era più alta giustificazione a posteriori dell'imperialismo politico di Atene in Grecia, tanto più dopo il suo fallimento esteriore, di questa idea della paideia,nella quale lo spirito attico attinge l'alta consolante consapevolezza della propria perennità"

 

Naturalmente questo alto concetto di sè porta in un popolo il disprezzo per l'altro.

 

Perciò troviamo Platone che nella Repubblica, nel trattare delle norme sulla guerra, opera una netta distinzione tra coloro che sono greci e i barbari.

 

E Aristotele, da buon precettore, consiglia ad Alessandro di governare i Greci come egèmone e i barbari come signore.

E' nella lingua, bacino collettore ed espressivo della cultura di un popolo, che ritroviamo la spiegazione più qualificante.

 

Prima abbiamo accennato al termine bàrbaros, usato dai Greci per indicare i nongreci: E' ora venuto il momento di fare una analisi filologica del termine.

 

"Barbaròi" alla lettera indica "balbettanti", cioè colui che in effetti  "non parla" in quanto non parla greco e, in particolare, non conosce la lingua comune, il dialetto attico letterario, la koiné.

 

E le conseguenze più lontane di questa teorizzazione si fanno sentire ancora ai nostri giorni, giacchè su di essa si fonda l'idea di una naturale superiorità della nostra tradizione culturale, greco/romana, in rapporto ad ogni altra.

 

Nel nostro piccolo universo italiano attuale, pervaso da tante catastrofi etico/politiche, lo troviamo ancora nella presunta superiorità di formazione culturale dei licei (classico in particolare) sugli altri tipi di scuola e sulla presuntuosa affermazione, fatta sovente tra membri della buona borghesia, di "istituti che formano uomini completi" (gli altri non sono ritenuti tali!).

 

Possiamo ricordare, molto semplicemente, che "gli uomini completi", usciti da questo tipo di scuola, hanno governato e governano l'Italia da un bel pezzo, con i lusinghieri risultati che tutti possiamo apprezzare e ammirare!

 

 

§ II Origini dell'Antropologia culturale nell'ambito dell'evoluzionismo.

 

Prima di addentrarci nello studio della genesi e dell'evoluzione di questa disciplina delle scienze sociali, di cui nella lezione precedente abbiamo visto i pròdromi, è necessario precisarne l'origine nell'àmbito  del cosiddetto evoluzionismo sociale della metà del XIX secolo.

 

Infatti, i primi passi dell'antropologia culturale risentono fortemente dell'influenza esercitata dall' evoluzionismo sociale, secondo cui la storia dell'umanità segue un processo lineare e unitario.

 

L'antropologia culturale, come la chiamiamo oggi, è nata, quindi, nel clima, totalmente diverso, del cosiddetto darwinismo sociale, cioè di quella visione evoluzionistica dell'umanità che aveva trovato nella dottrina di Darwin (1809/1882) sull'origine della specie umana un riscontro alla concezione gerarchica  delle razze, a tutto vantaggio della razza bianca, avviata al dominio del mondo (cfr.L'origine della specie)3.

 

Sull'ipotesi evolutiva però Darwin era stato preceduto da un filosofo/sociologo,Herbert Spencer (1820/1904), che nel 1852 aveva pubblicato un saggio molto apprezzato dallo stesso Darwin.

 

Quindi, possiamo affermare che la matrice storico/culturale dell'antropologia culturale è di carattere sociologico, anche se all'epoca, nel secolo scorso, fiorivano già gli studi di carattere etnografico ed etnologico.

 

L'antropologia culturale ha impiegato un pò di tempo per distinguersi da queste altre discipline e per acquisire una sua autonomia scientifica e metodologica.

 

Infatti, mentre l'Etnografia si interessa di studiare, con metodo descrittivo, i gruppi umani considerati nella loro specificità, di cui si registrano e classificano i tratti caratteristici, in modo da poterne dare una rappresentazione monografica; l'Etnologia, dal canto suo, utilizza il metodo comparativo per studiare i reperti degli etnografi e per poter poi arrivare a distinguere una razza da un'altra in base alle differenze culturali riscontrate.

 

L'antropologia culturale rappresenta, rispetto a queste precedenti indagini e ricerche scientifiche, una terza fase di studio, perchè pretende molto di più: la conoscenza dell'uomo in generale.

 

Questa conoscenza si può ottenere dalla determinazione di una struttura sincronica, cioè quella ricavata dallo studio di un gruppo umano primitivo stabilizzato nel tempo,rispetto alla dimensione diacronica,cioè quella prodotta dai numerosi elementi che si possono riscontrare nel corso dell'evoluzione della cultura di una razza.

 

Dobbiamo riconoscere a Spencer, che pure non è stato un antropologo in senso stretto, il merito di avere superato la "pretesa positivistica di trattare l'uomo, anche nelle sue manifestazioni più elementari, con lo stesso metodo usato dalle scienze fisiche e naturali, cioè come un oggetto".

 

Infatti, fu proprio Spencer, negli ultimi decenni del secolo scorso, che "diede forma compiuta al suo sistema evolutivo, precedente, nell'impostazione di fondo, all'opera scientifica di Darwin.

 

Il principio spenceriano del passaggio dall'omogeneo all'eterogeneo permetteva di ricondurre anche la preistoria dell'uomo, anzi la stessa storia della natura, sotto una formula generale, e proiettava sulla civiltà occidentale l'aureola di porzione eletta del genere umano, chiamata a guidare l'evoluzione verso la méta della perfezione".

 

§ III Alcuni autori di Antropologia evoluzionistica

 

Johann Jacob Bachofen (1815/1887)nel suo studio Das Mutterrecht (1861), "dimostrava che l'umanità primitiva era passata dalla promiscuità sessuale a un sistema familiare basato sul diritto materno e sulla discendenza matrilineare, e, infine, al sistema basato sul diritto paterno e sulla discendenza patrilineare"4.

 

A ciascuna di queste fasi egli faceva corrispondere, nel sistema di organizzazione sociale, forme specifiche di religione, di regime proprietario, di diritto e di costumi morali.

 

Questa visione delle cose fu confermata dalle teorie darwiniane, che dimostravano come anche le forme biologiche, che fino ad allora sembravano essere il substrato immutabile della storia umana, risultavano essere la conseguenza della trasformazione provocata dal principio di adattamento della specie all'ambiente.

 

Questo grande studioso svizzero, riscoperto a partire dagli anni '20 di questo secolo, giunse a risultati di grande originalità anticipatrice e fu, per questo, inviso agli "studiosi" accademici suoi contemporanei, che lo accusarono di arbitrî dilettanteschi!

 

Sir Edward Burnett Tylor (1832/1917), un quacchero inglese, che insegnò ad Oxford dal 1869 al 1909, diede ulteriori contributi fondamentali.

 

Con la sua opera "The primitive Culture" (1871) si suole datare la nascita ufficiale dell'antropologia culturale (cfr.I.Zamprotta, Antropologia e Sociologia dell'Antico Testamento, Panorama Biellese, 1987). I contributi dati da Tylor sono il frutto di accurate e lunghe ricerche e indagini sul campo, in America centrale e in Messico.

 

Egli fece riferimento alle teorie già espresse da Charles Lyell (cfr. "L'antichità dell'uomo", 1863), di cui egli utilizzò la distinzione delle tre età di evoluzione della civiltà:

1) stato selvaggio;

2) barbarie;

3) civiltà vera e propria.

 

Distinguendo, inoltre, l'età della pietra non levigata dall'età della pietra levigata (in cui, comunque, si identificava il primo stadio come una condizione di assoluta assenza di socialità e, quindi, di totale estraneità alla storia), Tylor, invece, modificò questa teoria dimostrando che anche allo stato selvaggio esiste cultura, appunto la cultura primitiva!

 

Pertanto, Tylor modifica il concetto corrente di cultura elaborandone una formula paradigmatica fino ad oggi.E' cultura, infatti, "quel complesso che comprende conoscenze, credenze, arte, morale, diritto, costumi e ogni altra capacità e consuetudine acquisite dall'uomo quale membro di una società".

 

Tra i notevoli contributi forniti da Tylor allo sviluppo dell'antropologia culturale risultano, a mio avviso, di fondamentale importanza la Teoria dell'animismo e quella della couvade.

 

Per Tylor l'animismo è "la dottrina generale delle anime e degli altri esseri spirituali, che costituisce la base della teoria dell'evoluzione e delle origini della religione primitiva".

 

Essa consta di due grandi dogmi: al centro della cultura primitiva c'è la credenza nell'esistenza dell'anima, credenza nata dall'esperienza delle visioni e dei sogni, il cui processo psichico è "la proiezione di un duplicato etereo, immateriale, delle persone". Questo duplicato, sciolto dalle condizioni della materia, è appunto l'anima su cui nulla può la morte fisica.

 

Anche i morti, infatti, appaiono in sogno.Il modello di anima è servito al primitivo per costruirsi l'idea di "altre anime di grado inferiore,ma anche la sua idea di esseri spirituali in generale, dal più minuscolo folletto che gioca nell'erba alta al celeste Creatore e Signore del mondo, il grande Spirito".

 

Sebbene non in modo rigido, Tylor sostiene un processo evolutivo dall'animismo inferiore, che è per sua natura amorale, all'animismo superiore, che implica la ricompensa del bene o del male nell'aldilà, fino al monoteismo.

 

Trattando delle leggi del matrimonio e della discendenza, Tylor elaborò il concetto di couvade, che consiste nel cosiddetto "parto maschile" o covata del maschio (concetto assunto anche da un altro antropologo suo contemporaneo, Frazer).

 

Si tratta di un rituale per il quale gli antropologi si sono sbizzarriti a cercare le più svariate spiegazioni. Secondo Tylor, la couvade servirebbe ad evitare rischi magici al neonato oppure a confondere gli spiriti maligni, attirando sul padre (elemento più forte della madre) i loro attacchi.

 

Lewis Henry Morgan (1818/1881) fece uso dello stesso metodo comparativo e condivide con Tylor il titolo di fondatore dell'antropologia culturale.

 

Nato nello Stato di New York, Morgan fu dapprima consulente legale di una compagnia ferroviaria (come Bachofen, egli parte da una formazione di tipo giuridico); poi fu anche un attivo militante del Partito repubblicano americano, per il quale fu eletto prima deputato e poi senatore.

 

Nel 1851 fondò la Lega degli Irochesi insieme col pellerossa Eli Parker (Commissario governativo per gli Affari indiani durante la guerra civile tra Nord e Sud).

 

Nel 1857 pubblicò uno studio molto acccurato intitolato "La Lega degli Irochesi"5 (titolo originale:"League of the Ho-de-no-sau-nee or Iroquois", Rochester, Sage and Broa).

 

Egli intendeva provare le origini asiatiche dei Pellerossa e a tal fine diffuse nel mondo, con l'aiuto del Governo, un questionario sui sistemi di parentela, ottenendo risposta dall' India, dall'Oceania e dall'Africa.

 

I risultati furono poi pubblicati in "Sistemi di consanguineità e di affinità nella famiglia umana" (1871)6 .

 

Secondo Morgan la famiglia umana si è sviluppata  secondo tre periodi etnici:

 

1) lo stato selvaggio;

2) la barbarie;

3) la civiltà.

 

Inoltre, Morgan attua una ulteriore suddivisione in 7 fasi, dallo stato selvaggio inferiore, in cui gli uomini si nutrivano di frutta e di bacche, allo stadio civile, in cui ci si distingue per l'alfabeto fonetico e la scrittura.

 

All'interno di questa evoluzione la famiglia ha poi conosciuto 5 tappe fondamentali:

 

1) la famiglia consanguinea, in cui il matrimonio avveniva tra fratelli e sorelle;

2) la famiglia punalua, in cui vigeva il divieto di matrimonio tra fratelli e sorelle;

3) la famiglia sindiasmiana, in cui le coppie nascevano e si scioglievano spontaneamente;

4) la famiglia patriarcale, come quella ebraica e romana, in cui l'autorità suprema spettava al capo di sesso maschile;

5) la famiglia monogamica, basata sull'uguaglianza tra maschio e femmina, che si va evolvendo verso la famiglia nucleare di tipo occidentale.

 

A proposito della seconda tappa,caratterizzata dalla famiglia punalua va ricordato che il primo accenno ad essa lo troviamo in The Origin of Civilisation and the Primitive Condition of Man: Mental andsocial condition of savages di John Lubbock, Longmans Green, London, 1870, il quale testualmente dice:""Brother-in-law = wife's sister's husband = punalua. Thus a woman has husbands and sisters-in-law, but no brothers-in-law ; a man, on the contrary, ...".

 

Le 5 fasi successive si sono sviluppate in conseguenza di modificazioni di forme economiche (ad esempio, da economia di caccia e raccolta dei prodotti ad economia di forme industrializzate moderne).

 

Purtroppo, la celebrità di Morgan non è dovuta tanto a questi e altri validi concetti quanto all'attenzione riservatagli dalla Scuola marxista, a cominciare dai fondatori, Karl Marx e Friedrich Engels, che lessero la sua opera del 1881 "La società antica", in cui trovarono conferma alle loro tesi sull'origine della famiglia7.

 

Come infatti spiega il sottotitolo dell'opera ("O ricerche sulle linee del progresso umano dallo stato selvaggio attraverso la barbarie fino alla civiltà"), Morgan cercava di spiegare la società umana scoprendone le metamorfosi col passare del tempo dallo stato selvaggio alla barbarie alla civiltà.Nel fare questo poneva in rilievo la famiglia e il raggruppamento degli affini, la società tribale e la nazione. Ma il suo interesse predominante restava la parentela.

 

Per questo, alla fine della III parte di questo suo studio, Morgan offre una teoria in termini di evoluzione che dovrebbe spiegare le diversità che abbiamo osservato nella nomenclatura della parentela.

 

Per Morgan, infatti, la forma più antica di famiglia è quella consanguinea.Egli arriva a ciò per deduzione (non essendovi più esempi viventi e tangibili in alcuna società esistente). Infatti, secondo lui, il matrimonio si era evoluto da una struttura familiare di gruppi consanguinei alla monogamia attuale.

 

L'importanza di questa analisi e il confronto dei sistemi di parentela ci portano a capire sia l'organizzazione sociale, come si è andata evolvendo, sia il comportamento dei singoli nell'ambito della parentela e del gruppo.

 

 

§ IV Il periodo post/evolutivo: il Relativismo culturale.

 

Lo schema dell'evoluzione culturale adottato da Tylor e da Morgan fu ritenuto troppo semplicistico da Franz Boas (1858/1942), tedesco, poi naturalizzato americano, docente di Antropologia alla Columbia University, la quale divenne, grazie a lui, un attivissimo centro di studi antropologici, da dove sono usciti i migliori antropologi americani. Di Boas, comunque, ricordiamo: "I limiti del metodo comparativo dell' antropologia"(1896); "La mente dell'uomo primitivo"(1911); "Antropologia moderma"(1943)8 .

 

Egli, sulla scia di alcuni studiosi (etnologi) che proponevano una spiegazione dei dati ricorrenti nei gruppi umani primitivi, basata sull'dea di diffusione, per individuare, col metodo comparativo, il luogo di origine di un costume o di una invenzione o di una credenza, insomma l'area culturale, e di mostrare come essi fossero diffusi negli altri gruppi umani, anche molto remoti, cercò di chiarire che la ricerca condotta senza schemi preventivi smentisce il presuppposto evoluzionistico dello sviluppo parallelo dei gruppi umani a partire da una condizione unitaria originaria, mentre si trova più a suo agio nel postulato dei diffusionisti, secondo cui non ci sono società "intatte", capaci di svilupparsi in parallelo alle altre.

 

Perciò, nel penetrare dentro una cultura primitiva, bisogna collocarsi al suo interno, fino a condividere il punto di vista dell'indigeno (metodo dell' osservazione partecipante).

 

Per comprendere poi l'ndividualità di una cultura si deve tenere conto dell'influenza che su essa hanno esercitato l'ambiente geografico e il sistema economico, visti nella loro interazione col soggetto umano che è sempre causa autonoma di trasformazione culturale.

 

E' dunque perfettamente inutile andare a ricercare presunte leggi di carattere generale che presiedono allo sviluppo della cultura, che è sempre un'unità a sè stante, mai riconducibile a una totalità.

 

Questo modo di vedere e intendere le cose è chiamato Relativismo antropologico ed ha il suo fondamento  proprio nel nesso tra individuo e culture, tra reazione psicologica dell'individuo e sistema collettivo, in cui essa cultura emerge e si evolve.

 

§ V La Scuola di Franz Boas.

 

Da questo principio mossero gli allievi di Boas, che poi portarono avanti la Scuola di Personalità/Cultura. In particolare Melville Jean Herskovitz (1895/1963), il cui nome è legato soprattutto alla teoria del Relativismo culturale, basata sulla duplice premessa del carattere universale della specificità di ogni singola cultura.

 

Nell'ambiente e nel clima boasiano si muovono due altri grandi antropologi:Alfred Kroeber e Abram Kardiner;e le due più grandi antropologhe: Ruth Benedict e Margaret Mead, dei cui contributi diremo in seguito.

 

A.L.Kroeber (1876/1969). Iniziò la sua carriera di studioso con una tesi, nel 1901, sugli Indiani della California, che studiò sul campo fino a pubblicare, nel 1925, un "Manuale degli Indiani della California"9.

 

Ma in lui ebbero il sopravvento gli interessi teorici, rispetto a quelli etnografici, sulla natura della cultura, che volle approfondire collegando quelli che chiamò metodi "microscopici" e "telescopici", cioè quei metodi che riguardano la microdinamica dell'etnografia e della storia di breve durata e la macrodinamica dell'evoluzione biologica e della storia di lungo periodo.

 

I fenomeni naturali, secondo Kroeber, si unificano a vari livelli: a quello Preorganico, a quello Organico e a quello Superorganico (cfr:"Il Superorganico",1917).10

 

L'Organico si suddivide nel livello del Vivente e nel livello dello Psichico.

 

Il Superorganico è il livello in cui l'uomo diventa artefice della propria cultura e creatore della storia.

 

I diversi livelli non sono separati gli uni dagli altri, ma evolvono gradualmente.

 

Quindi, i fatti culturali appartenenti a questo campo non possono avere se non spiegazioni di tipo culturale.

 

A questo affermazione si accompagna la teorizzazione del Determinismo culturale: la storia è il risultato di "regolarità culturali" e l'azione dell'individuo è ad esse subordinata (cfr."Configurazioni dello sviluppo culturale",1944).In questa opera, infatti, Kroeber cerca di scoprire dei modelli ricorrenti di sviluppo culturale nell'arte e nella scienza, e conclude che le "più alte realizzazioni estetiche e intellettuali della storia avvennero in temporanee esplosioni di sviluppo, come è indicato dagli ammassi di genii nello spazio e nel tempo"11.

 

I profili storiografici che Kroeber ci offre sono elaborati secondo la dinamica che conduce una cultura alla sua vetta, cioè il "climax" (come si esprime l'autore), durante il quale essa si esprime in grandi personalità e, comunque, in manifestazioni particolarmente rappresentative della sua individualità. Anche l'apparizione di un genio, spiega Kroeber, pur rappresentando il climax di una data cultura, in realtà è il risultato di una configurazione culturale, cioè la conseguenza di reciproche interazioni superindividuali, dalle proprie norme autonome, caratteristiche di ogni singola cultura.

 

A.Kardiner (1891-1981). Essendo stato con S.Freud nel periodo 1921/22, ha subito l'influenza della psicoanalisi ed ha quindi tentato, a sua volta, di elaborare una teoria dell'analisi psicoculturale, basata sul concetto di Personalità di base.

 

Questo nuovo concetto (che in seguito avrebbe iniziato una nuova branca di studio nelle scienze sociali) rappresenta un modello astratto di individuo nella società ed è il comune denominatore delle personalità individuali di un dato gruppo sociale (cfr. "L'individuo e la società", 1939)12 .

 

Postulata quindi l'esistenza di questa struttura di una personalità di base, tipica dei componenti di una data società, Kardiner divise gli aspetti istituzionali di una cultura in due categorie o istituzioni: la Primaria e la Secondaria.

 

La prima categoria (come la famiglia e l'educazione) esercita sulla personalità un'azione determinante, costitutiva; la seconda categoria (come la religione, riti, tabù, racconti popolari) esprime la reazione della personalità all'azione delle istituzioni primarie.

 

E' questa la relazione intercorrente tra la personalità di base e una data cultura e dal gioco di queste interazioni nasce la cultura, che Kardiner definisce come "il modo stabile di pensiero e di comportamento comune a un gruppo sociale".

 

L'ulteriore analisi di Kardiner sconfina in campi che non ci interessano in questa trattazione, cioè in psicopatologia e nevrosi di inadattabilità allo sviluppo culturale.

 

Alla Scuola di Boas si sono formate due famose antropologhe, di grande fecondità e intraprendenza scientifica sia nel settore della ricerca sia in quello dell'applicazione dei loro risultati ai problemi della cultura contemporanea.

 

La prima, Ruth Benedict (1887/1948) fu allieva di Boas e poi sua assistente. Collaborò anche con Kroeber e insegnò alla Columbia University. Del suo primo maestro sviluppò l'importante tema della individualità delle culture elaborando una sua teoria dei "modelli di cultura" (1934), titolo di un suo studio, ormai divenuto un classico, in cui sostiene la necessità di orientare l'antropologia verso la conoscenza del "temperamento" dei popoli, cioè del sostrato affettivo e ideologico che plasma la fisionomia, le istituzioni e i comportamenti di una specifica società (tale sostrato è appunto da lei definito "modello"). La ricerca fu da lei condotta tra le tribù indiane, ma poi confrontata con le culture contemporanee, per il cui studio soggiornò in Europa e in Asia.

 

Secondo la Benedict, ogni cultura si sceglie, tra le infinite varietà dei comportamenti possibili, una sua specifica configurazione, dentro la quale l'individuo si comporta in funzione del modello che essa stessa ha realizzato.

 

Tra i modelli descritti dalla Benedict ricordiamo l'Apollineo degli Zuñi (un gruppo dei Pueblos), dignitosi, socievoli, equilibrati; il Dionisiaco degli Indiani delle pianure, rudi e violenti. Il primo collettivista, il secondo individualista.

 

La terminologia apollineo e dionisiaco fu mutuata da Nietzsche (cfr.La nascita della tragedia,1872). Quindi, secondo questa teoria, ogni cultura, da quella degli Indiani Zuni a quella tedesca e giapponese (cfr. "Il crisantemo e la spada", 1946)13 è un sistema integrato, con una sua propria identità a cui l'individuo si ispira per il proprio comportamento.

 

La Benedict fu anche uno dei primi antropologi ad interessarsi della "devianza" del singolo individuo nei confronti della sua cultura e dell'esistenza e della relatività delle  malattie mentali (in ciò fu ovviamente influenzata dal suo collega ed amico psicoanalista Edward Sapir, col quale ebbe un nutrito scambio epistolare e al quale sembra abbia "rubato" alcune ipotesi di lavoro!).

 

La seconda, Margaret Mead (1901/1978), allieva di Boas e della Benedict, fu anche la prima ad utilizzare cinepresa e registratore, rendendo più complete ed interessanti le sue ricerche e i risultati dei suoi studi.

 

Fin dall'inizio dei suoi studi si orientò verso la verifica dell'ipotesi di Boas sulla plasticità biopsichica dell'uomo e perciò si interessò dei complessi rapporti esistenti tra psicologia, biologia e cultura.

 

Tra il 1925 e il 1927 condusse una ricerca nelle Isole Samoa e nel 1930 in Nuova Guinea,occupandosi prima degli aspetti sociopedagogici delle società primitive (cfr."L'adolescente nella società primitiva",1928) e poi dell'aspetto tipicamente sessuale (cfr."Sesso e Temperamento in tre società primitive", 1935)14 .

 

Secondo gli studi condotti dalla Mead, ogni membro della collettività assorbirebbe a livello inconscio,fin dalla prima infanzia, attraverso le tecniche di allevamento e i metodi educativi, le caratteristiche sociologiche della cultura cui appartiene.

 

In campo sessuale la Mead rileva l'assenza di fenomeni di crisi, come il passaggio alla pubertà e da questa all'età adulta presso le società primitive, non condizionate dai modelli culturali tipici delle società occidentali.

 

Ciò dipenderebbe dal fatto che le moderne società sono dominate da un complesso e contraddittorio sistema di valori, sui quali si basa il processo educativo; mentre le società primitive erano contraddistinte da un sistema di valori unico, semplice, omogeneo, ispirate a ideali altrettanto semplici.

 

Anche a livello di differenza di comportamento tra i sessi la Mead rileva che in modelli culturali diversi il ruolo maschile o femminile diventa determinante nel condizionare la struttura psicologica dell'individuo.(Di queste due madri dell'antropologia culturale ho parlato anche nel primo capitolo).

 

§ VI Sociologismo antropologico e fenomeno religioso in Emile Durkheim

       

ZEmile Durkheim

                                                                                               Emile Durkheim (pr.Durkèm)

 

La ricerca sulle società primitive rappresenta, come abbiamo potuto finora constatare, l'area specifica di studio dell'antropologia culturale,

 

Emile Durkheim, al quale abbiamo più volte accennato  nelle precedenti lezioni, ritenne di poter attuare il progetto comtiano di una sociologia come scienza onnicomprensiva del sociale, allargando il campo degli studi sociologici allo studio dei reperti etnografici.

 

Le societè primitive sono interne alla storia e Durkheim ritenne (contrariamente a quanto è stato accertato dalle più recenti ricerche) che le popolazioni cosiddette primitive lascino trasparire il modello originario e permanente di ogni civiltà umana.

 

Quindi, le società primitive, sempre secondo Durkheim sono il primo anello della società e all' interno di questo tipo di società il primo anello è rappresentato è dalla religione, giacchè questa è lo stato sociale più semplice che si possa conoscere di quelle società.

 

I princìpi generali del metodo seguito da Durkheim sono i 4 seguenti:

 

1. tutte le categorie  di pensiero derivano da un'esperienza collettiva originaria di carattere religioso;

 

2. il principio logico di contraddizione e le forme spazio/tempo sono formazioni mentali, il cui significato è da individuare all'interno dell'esperienza religiosa primitiva;

 

3. in questa esperienza la funzione del soggetto individuale è del tutto subalterna a quella del gruppo sociale:il gruppo non esisterebbe senza le coscienze particolari, ma la loro aggregazione, penetrazione e fusione dà vita ad un essere che costituisce un'unità psichica originaria;

 

4. i fenomeni sociali quindi non sono solo fatti naturali organici o solo psicosoggettvi o somme di fenomeni individuali:essi sono di più, sono aspetti di un'unità ben individuabile, in cui trovano il loro vero significato.

 

I fenomeni sociali vanno studiati tenendo sempre presente la loro esteriorità al soggetto.Il sociale è, perciò, molto semplicemente, impenetrabile sia ad un esame psicologico sia a qualsiasi altro esame che pretenda di darne spiegazione con uno dei suoi aspetti costitutivi (ad esempio, come ha fatto Marx, che ha preteso di ridurre la società al fenomeno della lotta di classe, che è uno dei suoi aspetti, mentre è la lotta di classe che può trovare una spiegazione nell'unità del fatto sociale).

 

Dunque, la società è un sistema chiuso in sè stesso, una totalità individuale in cui soltanto possono trovare spiegazione i singoli suoi elementi costitutivi.

 

Durkheim spiega l'evoluzione storica con la legge del passaggio dalla Solidarieta' meccanica alla Solidarieta' organica.

 

La prima è propria delle società arcaiche, in cui gli individui sono simili tra loro, osservano le stesse tradizioni e credenze, hanno in comune gli stessi riti: è la solidarietà per somiglianza.

 

Quella organica, invece, è propria delle società evolute, come la nostra, e nasce dalla differenziazione degli individui tra loro, che sono legati dall' esercizio di ruoli e funzioni complementari all'interno del sistema.

 

La pretesa della società industriale è stata quella di voler costruire una forma specifica di società, quella produttiva, sradicando così gli individui dalla totalità sociale, cioè dall'insieme di quelle norme e tradizioni che ne regolano la condotta di vita.

 

Questa è una deviazione che conduce ad uno stato di anomia, che esalta negli individui la pretesa di poter raggiungere, a discrezione, qualsiasi traguardo. Però essi si trovano indifesi, perchè non più salvaguardati da quelle stesse  norme che ne regolano la vita individuale nel sistema totale.

 

Il risultato di questa disgregazione è rappresentato, talvolta, anche dall'incremento di suicidi in ambienti e in periodi di particolare floridezza.

 

Convinto che in un contesto del genere il ruolo tradizionale della religione si sarebbe indebolito nell'ambito della società industriale, Durkheim riteneva che senza credenze collettive sostitutive si sarebbe precipitati in uno stato di disfacimento delle società.

 

Pertanto, la religione rappresentava, in generale, la condizione stessa della sopravvivenza della società.

 

Nella sua essenza essa è un sistema solidale di credenze e di pratiche relative a cose sacre (intendendo questo termine nella sua accezione originaria di "separato", "interdetto"), di credenze e di pratiche che uniscono in una medesima comunità morale coloro che vi aderiscono.

 

Quindi, non rientra nell'essenza della religione la fede in un Dio trascendente e in un ordine soprannaturale: ciò è dimostrato dalle ricerche etnologiche (che constatano presso ogni popolo la presenza della religione e nelle società più evolute riscontrano l'opposizione tra fatti naturali e fatti soprannaturali, tra umano e divino).

 

L'unico dato permamente del fatto religioso è la distinzione delle cose, reali e ideali, in due ordini opposti:il sacro e il profano, che permane e si riscontra presso tutte le società, anche se a livello simbolico.

 

Per capire il significato della potenza sacra attribuita al simbolo Durkheim analizzò il totemismo degli Arunta dell'Australia, che ritenne come forma elementare della vita religiosa q, quindi, primo anallo della catena evolutiva (cfr."Les formes élementaires de la vie religieuse", 1912, tr.it. 1963)15 .

 

Quindi il totem è il simbolo di una "specie di forza anonima e impersonale che si trova in ciascuno di quegli esseri (gli animali), senza peraltro confondersi con nessuno di essi".

 

Il totem esprime una forza impersonale, esterna all'individuo; il totemismo può essere ritenuto come la particolare espressione del sacro che definisce in quanto tale.

 

Perciò a base della religione non c'è nè il concetto di anima (come diceva Taylor) nè quello di Dio (come diceva la Scuola diffusionista di Vienna), ma solo la forza (il mana) totemica.

 

Questa forza, secondo Durkheim, scaturiva dalla società stessa:"Una società ha tutto ciò che è necessario per svegliare negli spiriti, con la stessa azione che esercita su di essi, la sensazione del divino, in quanto essa è per i suoi membri quel che un Dio è per i suoi fedeli".

 

Quindi, ogni società implica un'autorità morale della collettività sull' individuo, autorità che si esercita suscitando e ottenendo rispetto.

 

E' proprio in questo rispetto che risiede la sorgente e la spiegazione del fenomeno religioso.

 

Per concludere, possiamo dire che Durkheim elaborò una teoria generale della religione, a partire dallo studio delle sue forme più semplici e primitive.

 

Dall' analisi di esse si arriva a costruire una teoria che dimostra la natura essenzialmente sociale delle religioni, intese come "forma simbolica degli interessi sociali e morali": gli uomini, quindi, adorano, inconsapevolmente, la loro stessa società, la loro creatura!

 

§ VII Levy-Bruhl e la mentalità primitiva.

 

Lucien Levy-Bruhl (1857/1939) fu storico della filosofia ed etnologo, docente alla Sorbona di Parigi.Coetaneo di Durkheim, fu da questi influenzato e si dedicò alle ricerche etnologiche.

 

In uno studio del 1922, intitolato "La mentalità primitiva", Levy-Bruhl si pose il problema delle varizioni delle funzioni mentali in rapporto alle diverse forme di vita sociale16.

 

Seguendo la metodologia durkeimiana e ricollegandosi alle teorie sulle "rappresentazioni collettive", propose una definizione della "mentalità primitiva" e, quindi, ritenne opportuno fermare l'attenzione sul tipo di mentalità ritenuto il più lontano possibile dalla nostra, quella cosiddetta primitiva.

 

Pertanto,condusse ricerche intese a stabilire una specie di dualismo tra le forme di pensiero "Prelogiche" dei primitivi e quelle "Logiche" dei civilizzati.

 

1.sua teoria può essere sostanzialmente riassunta in questi tre punti: La mentalità primitiva è essenzialmente "mistica", giacchè essa, partendo dalle impressioni sensibili, cerca di darsene spiegazione attingendo direttamente al mondo invisibile, senza seguire la logica aristotelica delle cause seconde (cioè non cerca di spiegarsi le cose con cause naturali). Il primitivo infatti ritiene un'unica realtà il mondo visibile e quello invisibile, in cui, però, gli avvenimenti del mondo visibile dipendono in ogni istante dalle potenze dell'invisibile (di qui l'importanza che nelle culture primitive rivestono i sogni, i presagi, la divinazione, i sacrifici, gli incantesimi, la magia.

 

2.la mentalità primitiva è prelogica", non nel senso di essere precedente o addirittura contraria alla logica, ma nel senso che segue anche altre regole e principi estranei alla nostra logica, come, per esempio, il fatto di identificare in una sola cosa lo stregone e gli animali e, contestualmente, considerarli due cose distinte! Ciò ci dimostra che il primitivo, rispetto al civilizzato, ha una diversa percezione del tempo e delle cose: "Il futuro è spesso già presente e provoca le emozioni che in noi provocano i fatti presenti. Le sue percezioni del reale e dell'irreale sono diverse dalle nostre".Perciò i tratti caratteristici delle società primitive non sono trasferibili ai nostri concetti. Quando noi parliamo di animismo del primitivo, non dobbiamo confondere il suo concetto di anima col nostro, completamente diverso.

 

3."La mentalità primitiva si regola secondo il principio di partecipazione", mentre la nostra si regola secondo il principio logico di non contraddizione.

 

Infatti, la partecipazione per il primitivo non obbedisce a criteri conoscitivi,ma emozionali.Egli partecipa all'esperienza collettiva sentendo e giudicando allo stesso nostro modo, ma rappresentandosi gli esseri, gli oggetti e i fenomeni come emittenti e recettori di forze, virtù, qualità, azioni mistiche, che si fanno sentire al di fuori di essi,senza cessare di essere ciò che sono. Quindi nella conoscenza/esperienza dei primitivi il dato reale, pur riconosciuto nei suoi tratti specifici, è percepito e assunto nelle sue valenze simboliche. Osserva infatti Levy-Bruhl: "Se i primitivi percepiscono l'immagine diversamente da noi,è perchè essi percepiscono diversamente anche il modello. Noi afferriamo in quello i caratteri oggettivi, reali, e non afferriamo che essi: per esempio, la forma, la grandezza, le dimensioni del corpo, il colore degli occhi, ecc.; ma per il primitivo, la cui percezione è orientata diversamente,questi caratteri oggettivi, anche se egli li coglie come noi,non sono il più delle volte che i veicoli di forze occulte,di potenze mistiche e tali che ogni essere vivente può manifestarne" (cfr."Le funzioni mentali nelle società inferiori", 1910)17 .

 

In seguito Levy-Bruhl operò una revisione critica del suo lavoro con l'opera "Carnets" (cioè "Quaderni")18 , pubblicata postuma nel 1949, in cui cercò di correggere il dualismo tra pensiero primitivo e pensiero civilizzato, chiarendo che la "partecipazione non appartiene esclusivamente al primo, ma ha il suo posto anche nel secondo, per cui la mentalità primitiva viene ad essere un aspetto della mentalità umana in generale, anche se rimane come soffocata nelle civiltà in cui dominano le operazioni puramente intellettuali". Quindi la struttura logica del pensiero umano è dovunque la stessa.

 

Pur variamente discusse e criticate, le intuizioni di Levy-Bruhl hanno lasciato una traccia profonda negli studi antropologici e psicologici, e oggi è possibile collocare la "partecipazione mistica" in un vasto arco di fenomeni culturali, presenti in tutte le società, compresa quella occidentale, Per la nostra trattazione non è inutile ricordare un'altra sua importante opera: "L'anima primitiva"(1927)19 .

 

§ VIII Marcel Mauss e il fatto sociale totale.

 

Nipote ed allievo di Durkheim, Marcel Mauss (1872/1950) ha sviluppato dello zio e maestro il tema della società come "fatto sociale totale".

 

Fondatore, insieme con F.Rivet e L.Levy-Bruhl, dell'Istituto Francese di Etnologia, Mauss ha il merito di aver fornito contributi originali anche per avere individuato e messo in rilievo l'importanza dei codici sociali specifici delle singole culture per quanto riguarda l'espressione dei sentimenti e l'atteggiamento stesso del corpo.

 

E' nel "Saggio sul dono. Forme e ragione dello scambio nelle società arcaiche" (1924) che troviamo compiutamente elaborata la sua nozione di "fatto sociale totale" come un insieme non riducibile alle sue componenti, ma, al contrario, presente in ciascuna di esse come causalità autonoma20.

 

Nella sua totalità il fenomeno sociale integra in sè sia la struttura sia il singolo individuo concreto. Ed è in questi che la totalità va colta e non, semplicisticamente,nelle istituzioni singole, indipendentemente dai loro artefici.

 

Mauss ha applicato questa sua teoria a un particolare aspetto della società promitiva,quello del dono, con l'intento di dimostrare che i fenomeni economici non possono essere ridotti al calcolo di interessi commerciali.Gli scambi tipici delle società arcaiche derivano, più che da necessità economiche, dall'obbligazione di donare, di ricevere e di restituire.

 

Tutta la sua riflessione tende a congiungere in un unico arco interpretativo i diversi fenomeni sociali con quelli tipicamente religiosi come il sacrificio.

 

Una volta individuato il campo del sacro come quello in cui si possono rintracciare le espressioni più esplicite e al tempo stesso più simboliche e trascendenti del tessuto sociopsicologico di un gruppo, Mauss approfondisce la ricerca in questa direzione.

 

Già nel 1899 troviamo nel suo studio "Saggio sulla natura e la funzione del sacrificio" la bipolarità sacro/profano teoorizzata solo nel 1922 dallo zio Durkheim21.

 

Infatti, Mauss già allora interpretava il sacrificio come il mezzo attraverso il quale il profano entra in contatto e comunicazione con il sacro servendosi di una vittima. Approfondendo ulteriormente questi concetti, Mauss introdusse il concetto di "mana", come potenza, come forza, in cui il sacro è ricompreso.

 

E per Mauss questo concetto è presente in tutte le forme di dono e di scambio nelle società arcaiche.

 

Nelle tribù australiane, ad esempio, le prestazioni tra i clans implicano scambi di beni, di servizi, di riti, di danze, di donne e di nomi.

 

Ognuno di questi fatti  è, allo stesso tempo ,religioso, economico, politico e giuridico. Anche i riti religiosi, come preghiere e sacrificio, rientrano nella struttura del dono. E siccome il primo e fondamentale scambio è rappresentato da quello con gli spiriti dei morti e con gli dei, "la distruzione sacrificale ha precisamente come scopo una donazione che deve essere necessariamente resa".

 

§ IX Il Funzionalismo di Scuola anglosassone.

 

In area anglosassone, in quel periodo, dominava il funzionalismo di Bronislaw Malinowski, che riconosce il modello della società semplice nelle tribù australiane e la definisce come una totalità di cui gli elementi diversi non sono che le funzioni (ad esempio, il divieto dell'incesto), e come tali vanno compresi.

 

Gli elementi che compongono la totalità sociale nascono come risposte a bisogni di vario livello: primari, secondari, simbolici,

 

A questo ultimo livello appartengono la religione e la magia.

 

In polemica con Malinowski si muove Radcliffe-Brown, il quale integra il concetto di funzione in quello di struttura, definito in maniera più rigorosa. Ma ora passiamo in rassegna il pensiero di questi due studiosi di lingua e scuola inglese.

 

Bronislaw Malinowski (1884/1942), di origine polacca, laureato in matematica e fisica. Nel 1910 inizia a Londra gli studi antropologici sulla struttura familiare australiana, che prosegue, come ricercatore, in Oceania, dove viene internato, durante la prima guerra mondiale perchè cittadino austro-ungarico, fino al 1920.

 

Per studiare meglio la vita degli indigeni apprese anche la loro lingua (cosa che gli risultò utile per i suoi studi di etnolinguistica). In seguito effettuò delle ricerche anche tra le tribù indiane d'America e in Africa. Insegnò a Londra e all'Università di Yale negli USA.

 

In polemica con gli evoluzionisti e con i diffusionisti, Malinowski afferma la totalità di ciascuna cultura. Totalità che sottintende un sistema integrato in cui ogni elemento istituzione, costume, norma) ha un suo ruolo preciso e ne rappresenta una funzione.

 

Quindi, non c'è alcun bisogno di spiegare questi elementi che, rappresentando tutti insieme la cultura, sono una costruzione artificiale dell'uomo per poter assolvere a tutte le funzioni della vita relazionale.

 

Quindi, Malinowski esclude la dimensione diacronica(che tiene conto dei processi storici antecedenti di una cultura), perchè ritiene che ogni cultura è un tutto a sè, cioè una totalità,che è dotata di equilibri interni tra i propri elementi.

 

Ciò che, ad esempio, può risultare disgustoso e immorale agli appartenenti a un dato tipo di cultura, è invece significativo e ammesso in un altro contesto sociale, in quanto funzionale a quel sistema culturale: è questo, in sintesi,il funzionalismo, che Malinowski faceva risalire a Durkheim chimandolo addirittura "padre del funzionalismo".

 

Quindi, questa irriducibilità di una cultura ad un'altra spiega anche l'impossibilità di applicare le teorie freudiane del complesso di Edipo, tipiche di una società culturale di tipo patriarcale,come la nostra,alla società melanesiana delle Isole Trobriand, che è di tipo matriarcale, dove non ha importanza il padre ma lo zio materno.

 

La vitalità dell'organismo sociale è assicurata, per Malinoswski, da funzioni, intese come funzioni della struttura sociale.

 

Quindi,momenti isolati di un gruppo sociale,studiati e comparati con altri analoghi, rappresentano solo sterili ed inutili procedimenti accademici, giacchè, cone abbiamo già detto, tutto va visto e considerato all'interno del proprio sistema, della propria totalità.

 

Pertanto,per Malinowski cultura è "un complesso sistema strumentale di attività organizzate", alla cui base vi sono i bisogni di una società, bisogni che caratterizzano l'individualità di un gruppo,la sua forma.

 

I bisogni vanno classificati in tre ordini distinti, a cui corrispondono tre ordini di FUNZIONI:

1.Bisogni primari o biologici. Sono quelli delle sette esigenze fondamentali biologiche: alimentazione, riproduzione, comodità fisica, sicurezza, svago movimento, sviluppo. Sono comuni all'uomo e agli animali, ma nell'uomo,per una particolare forma di risposta, provocano il passaggio dalla natura alla cultura (esempi di risposta:al bisogno di alimentazione si risponde col vettovagliamento; a quello della riproduzione con il matrimonio; alla comodità fisica con la casa e l'abbigliamento, ecc.);

2.Bisogni secondari o derivati. Riflettono i bisogni fisiologici ad un più alto grado di complessità sociale. Così, ad esempio, dal semplice vettovagliamento si passa ad una organizzazione economica; dalla semplice ricerca di casa e indumenti alle norme che regolano il comportamento sociale. In tal modo, secondo Malinowski, nasce il controllo della società sull'individuo. Per quanto attiene la famiglia, Malinowski afferma:"Il gruppo domestico non è unicamente un'istituzione di riproduzione, è una delle principali istituzioni nutritive e una unità economica, legale e spesso religiosa. La famiglia è il luogo in cui si provvede, attraverso l'educazione,alla continuità culturale";

3.Bisogni integrativi e simbolici. Sono la conseguenza dei due precedenti. Sono le regole morali, religiose, le espressioni artistiche, quel tutto di artificiale che la società si crea per meglio appagare i propri bisogni primari e secondari, i propri impulsi. E' con il soddisfacimento di questi bisogni che la società trasforma l'individuo in vera e propria personalità culturale.

 

E' proprio la funzione simbolica, col suo sistema di segni, gesti, suoni a dare la conoscenza, che a sua volta rivela all'uomo la precarietà dell'esistenza.

 

Quale rimedio a ciò Malinowski indica, come risposta culturale, la religione e la magia.

 

Quindi, conoscenza, religione, magia esprimono in un gruppo sociale gli imperativi più alti, perchè provvedono all'integrazione spirituale e sociale dell'individuo.

 

La religione per Malinowski comporta tre momenti essenziali: il dogma, il rito, le regole morali, che trovano la loro unificazione nel mito, il quale, quindi, non è un'ingenua spiegazione causale dei fatti naturali e sociali, ma una funzione indispensabile, che "esprime, eleva e codifica le credenze; salvaguarda e favorisce la morale; garantisce l'efficacia rituale e contiene regole pratiche per la condotta umana", e fa tutto ciò fornendo alle credenze, alla morale e al rito "una garanzia di antichità e di santità".

 

La magia differisce dalla religione perchè, mentre questa si risolve nell'attesa di una provvidenza, essa ha invece la pretesa di controllare la natura come sostituto della scienza. Infatti, il primitivo ha una sua elementare mentalità scientifica. La magia, quindi, collabora con la scienza e interviene laddove questa fallisce per quel senso di fondamentale precarietà esistenziale dell'uomo.

 

Infatti, ritroviamo la magia anche nella nostra società avanzata dove vigono divieti e superstizioni, residui di carattere magico della nostra mentalità (ad esempio, il numero 13 e il numero 17; la rottura degli specchi; il sale versato; lo spargimento di riso alle nozze, ecc.).

 

Tra le opere di Malinowski ricordiamo: "Gli Argonauti del Pacifico occidentale" (1922); "Delitto e costume delle società primitive" (1926); "Sesso e repressione nella società selvaggia" (1927); "La vita sessuale nella Melanesia occidentale" (1929). Postume, ricavate dai suoi suoi appunti: "La dinamica del mutamento" (1945); "Libertà e civiltà"(1947); "Diario"(1966)22 .

 

Alfred Reginald Radcliffe-Brown (1881/1955) si muove in aperta polemica con Malinowski,parlando di sè come di un evoluzionista sociale: così lo sentì definirsi G.D.Mitchell23 , ma a giudizio unanime può essere considerato uno struttural/funzionalista, padre, insieme con Malinowski, dell' antropologia sociale inglese.

 

Insegnò in varie parti del mondo ed anche all'Università di Oxford. Il suo distacco ufficiale dal funzionalismo fu precisato in un discorso pronunciato a Londra, all'atto del suo insediamento all'Istituto di Antropologia, in cui negò addirittura l'esistenza di una Scuola funzionalista, inventata, a suo dire, da Malinowski.

 

Il suo obbiettivo fu quello di applicare alla società il modello delle scienze naturali. Per fare ciò utilizzò insieme i concetti di funzione e di struttura (cfr."Struttura e funzione nella società primitiva", 1952)24 .

 

Come egli stesso dice, la sua teoria può essere esposta con questi tre concetti fondamentali, logicamente legati tra di loro: Processo, Struttura, Funzione:

 

1.Processo.Il processo della vita sociale risulta dal sistema delle molteplici azioni e interazioni degli individui come tali o come gruppo.

 

Dal sistema emergono delle "regolarità", che consentono all'osservatore di descrivere le caratteristiche della cultura considerata, di tradurle in concetti analitici e di collegarli tra loro con rapporti logici che dànno la fisionomia di quella società.

 

Questa fisionomia può essere studiata in modo sincronico,anche confrontandola con altri gruppi sociali; e in modo diacronico, cioè prendendo in considerazione la dinamica sociale degli evoluzionisti, cioè quei processi di adattamento della società dal punto di vista ecologico,istituzionale e culturale.

 

2.Struttura. E' la disposizione reciproca dei membri del gruppo in quanto hanno tra loro relazioni istituzionalmente definite e controllate. Si può studiare la struttura a vari livelli:

  • a) quello più immediato e globale,che si presenta continuo nel tempo e persistente nella identità, come la tribù e il clan;
  • b) il livello delle relazioni interpersonali, specialmente dei rapporti di parentela;
  • c) quello della differenziazione degli individui e delle classi sociali in base al loro ruolo;
  • d) quello della struttura di base che può spiegare tutti i cambiamenti che si verificano negli altri livelli;

3.Funzione. E' il ruolo che ogni attività ha nella vita sociale (intesa come un tutto) e il contributo che essa apporta al mantenimento della continuità strutturale. Infatti, nessun elemento può essere considerato in modo frammentario senza riferimento all'unità di struttura e di funzione. La comparazione tra gruppi sociali va fatta considerando i due sistemi nella loro rispettiva totalità e non solo i singoli aspetti.

 

Note

 

1.Cfr.De Sanctis, G., Storia dei Grecidalle origini alla fine del  secolo 5, La Nuova Italia, Firenze, 1939.

2.Cfr.Jaeger, W., Paideia: la formazione dell’uomo nuovo, La Nuova Italia, Firenze, 1936-59

3.Cfr.Darwin, Ch., On the origin of species by means of natural selection, London, J. Murray, 1859; tr.it. L’origine della specie, intr.Giuseppe Montalenti, Boringhieri, Torino, 1980.

4.Bachofen, J.J., Das Mutterrecht, Basel, Schwabe, 1948; tr.it. Il matriarcato:ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici,a cura di Giulio Schiavoni, Einaudi,Torino,1988.

5.Cfr.Morgan. H.L., League of the Iroquois, Corinth Books, New York, 1962;  tr.it. La lega degli Hode'nosaunee oIrochesi, E. Comba, Roma, CISU, 1998.

6.Cfr.Morgan, H.L., Systems of consanguinity and affinity of the human family, Anthropological publications, Oosterhout , 1966.

7.Cfr.Morgan, H.L., Ancient society or researches in the lines of human progress from savagery through barbarism to civilization, C. Kerr, Chicago, 1877; tr.it. La societa antica: le linee del progresso umano dallo stato selvaggio alla civiltà, cura e introduzione di Alessandro Casiccia; con uno studio di Mario de Stefanis, Feltrinelli, Milano, 1981.

8.Cfr. Boas, F., I limiti del metodo comparativo dell’antropologia, in Bonib, L.- Marazzi, A., Antropologia culturale: testi e documenti, Hoepli, Milano, 1970.

     Cfr.Boas, F. The mind of primitive man, Macmilan Company, 1919; tr. it. L’uomo primitivo, Ed. riveduta con una prefazione di Melville J. Herskovits, Laterza, Roma, 1972.

     Cfr.Boas, F. Anthropology and modern life, with a new introduction by Ruth Bunzel, W.W. Norton & Company, New York, 1962; tr.it. Antropologia e vita moderna,  introduzione di Luigi M. Lombardi Satriani con un saggio di Francesco Maiello; edizione italiana a cura di Laura Fachin e Emilia De Simoni, Ei Editori, Roma, 1998.

9.Cfr.Kroeber, A.L., Handbook of the Indians of California, Government Printing Office, Washington; e anche Bureau of American Ethnology, Bulletin 78. Washington. xviii, pp.995, 1925.

10.Cfr.Kroeber, A.L., The superorganic. American Anthropologist, n.s., vol. 19, N°. 2, pp. 163-213, Lancaster, 1917.

11.Cfr.Kroeber, A.L., Configurations of culture growth. The University of California Press, Berkeley and Los Angeles. x, pp. 882, 1944.

12.Cfr.Kardiner, A., The individual and his society: the psychodynamics of primitive social organization, with a foreword and two ethnological reports by Ralph Linton, Columbia university press, New York, 1939; tr.it. L' individuo e la sua societa : psicodinamica dell'organizzazione sociale primitiva, con una prefazione e due rapporti etnologici di Ralph Linton, Bompiani, Milano, 1969.

13.Cfr.Benedict, R., The chrysanthemum and the sword: patterns of Japanese culture, Houghton :Mifflin Co., Boston, 1946; tr.it. Il crisantemo e la spada: modelli di cultura giapponese, Dedalo, Bari, 1968.

14.Cfr.Mead, M., Coming of age in Samoa: A psychological study of primitive youth for Western civilization,  forward by Franz Boas, New American Library, New York, 1954; tr.it. L' adolescente in una società primitiva: adolescenza in Samoa, traduzione di Lisa Sarfatti; prefazione di Lamberto Borghi, Giunti Barbera, Firenze, 1954.

Cfr. Mead, M., Sex and temperament in three primitive societies, W. Morrow & Co.,New York, 1935; tr.it. Sesso e temperamento in tre società primitive, traduzione di Quirino Maffi, Il Saggiatore, Milano, 1967.

15Cfr.Durkheim, E., Les formes élementaires de la vie religieuse, Paris, Alcan, 1912; tr.it. Le forme elementari della vita religiosa, Comunità, Milano, 1971.

16.Cfr.Levy-Bruhl, L. La mentalité primitive, Paris, Alcan, 1922; tr.it. La mentalita primitiva, Einaudi, Torino, 1966.

17.Cfr.Levy Bruhl, L., Les fonctions mentales dans les sociétés inférieures, Alcan, Paris, 1910.

18.Cfr.Levy Bruhl, L., Les carnets de Lucien Lévy-Bruhl , PUF, Paris, 1949;tr.it.I quaderni, Einaudi, Torino, 1952.

19.Cfr.Levy Bruhl, L. L Âme primitive, Alcan, Paris, 1927; tr.it. L' anima primitiva, Boringhieri, Torino, 1962.

20 Cfr. Mauss, M., Essai sur le don. Forme et raison de l’échange dans les sociétés primitives, article originalement publié dans l’Année Sociologique, seconde série, 1923-1924; tr.it. Saggio sul dono: forma e motivo dello scambio nelle societa arcaiche, Einaudi, Torino, 2002.

21.Cfr.Mauss. M., Essai sur la nature et la fonction du sacrifice, Alcan, Paris, 1899 ; tr.it. Saggio sulla natura e la funzione del sacrificio, Morcelliana, Brescia, 1981 (questo testo è consultabile presso la Biblioteca interdipartimentale di scienze religiose Erik Peterson dell' Universita' degli studi di Torino). 

22.Cfr.Malinowski, B., Argonauts of the Western Pacific: an account of native entreprise and adventure in the archipelagoes fo Melanesian New Guinea: with 66 illustrations and 5 maps, preface by sir James G. Fraser, Dutton, 1961, New York; tr.it. Argonauti del Pacifico occidentale: riti magici e vita quotidiana nella societa primitive, prefazione di Sir J.Frazer, introduzione di V.Lanternari, Newton Compton, Roma, 1978. Cfr. Malinowski, B., Crime and custom in savage society, Routledge & Kegan, London, 1926; tr.it. Delitto e costume nella societa primitiva, Newton Compton, Roma, 1972. Cfr. Malinowski, B., Sex and repression in savage society, Routledge & Kegan, London, 1927; tr.it. Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Boringhieri, Torino, 1966.  Cfr. Malinowski, B., The sexual life of savages in north-western Melanesia : an ethnographic account of courtship, marriage, and family life among the natives of the Trobriand Islands, Routledge & Kegan, London, 1932; tr.it. La vita sessuale dei selvaggi nella Melanesia nord-occidentale:resoconto etnografico sul corteggiamento, sul matrimonio e sulla vita familiare fra gli indigeni delle Isole Trobriand, Feltrinelli, Milano, 1968. Cfr. Malinowski, B., The dynamics of culture chang: an inquiry into race relations in Africa, edited, with an introduction, by Phillys M. Kaberry, New Haven, London, 1961. Cfr. Malinowski, B., Freedom and Civilisation,  Allen & Unwin, London, 1947. Cfr. Malinowski, B., A diary in the strict sense of the term,  preface by Valeta Malinowska ; introduction by Raymond Firth, translated by Norbert Guterman, index of native terms by Mario Bick, The Athlone Press, London, 1989.

23.Cfr.Mitchell, G.D., A hundred years of sociology,Chicago, Aldine Pub.Co. 1968; tr.it.Storia della sociologia modernar, di Fausta Malingri di Bagnolo, Mondadori, 1971, p.171

24.Cfr.Radcliffe-Brown, R., Structure and function in primitive society:essays and addresses, with a foreword by E. E. Evans-Pritchard and Fred Eggan, with a foreword by E. E. Evans-Pritchard and Fred Eggan, Cohen & West, London, 1952 (testo inglese consultabile  in Italia soltanto presso la Biblioteca della Facoltà di lettere e filosofia Amleto Bassi dell'Università degli studi di Ferrara); tr.it. Struttura e funzione nella societa primitiva, Jaca Book, Milano, 1975.

(Biblioteca Italo Zamprotta)

 

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www.italozamprotta.net Italo Zamprotta il promotore delle Università Popolari di Biella

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